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Il saio e il pugnale ultimo romanzo di Cristiano Meneghel

Il saio e il pugnale terzo capitolo

Una spia in laguna ha il terzo e ultimo capitolo della storia nel romanzo Il saio e il pugnale. Lo spion Moroni finisce le sue avventure qui immerso nelle cause e vicende della Serenissima. La Repubblica di Venezia è stata raccontata in un periodo storico sconosciuto quel Seicento che neanche a scuola si studia. Il saio e il pugnale ultimo romanzo di Cristiano Meneghel.

Il capitolo della collana in cui il protagonista, lo spion Zane Moroni pone fine alla lunga rincorsa dei nemici della Serenissima. La storia continua attraverso accadimenti mozzafiato con verosimiglianza di fatti narrati in documenti studiati dall’autore.

Inizio de Il saio e il pugnale

Fossalon, Grado, giugno 1619, more veneto, sul far della sera. La barca scivolava lentamente lungo il canale le cui torbide e verdastre acque sembravano coperte da un velo d’olio, tanto erano calme. Riflettevano i raggi arancioni di un sole oramai prossimo a discendere l’orizzonte, consegnando anche quel giorno all’oscurità della notte. Francesco Benvegnù remava standosene retto a poppa mentre teneva saldamente l’asta del timone con le dita del piede.

Gasparo Montagner e Antonio Scarpa invece, aiutavano Francesco nella voga, uno a prua e uno a centro barca. Il francescano padre Marco se ne stava tranquillamente seduto sul basso trasto dell’imbarcazione guardandosi attorno, dandosi continuamente schiaffi sulla faccia per allontanare le innumerevoli zanzare e mosche cavalline che gli si poggiavano sulle gote mezze coperte dalla sua folta barba. Il panorama era di una desolazione assoluta.

Il Fossalon, la parte più orientale della laguna di Grado si distendeva per migliaia di pertiche oltre la bocca di Primiero che dava accesso a quella parte di laguna di Grado detta Paluo de sora. Il Fossalon, chiamato così per la presenza di ampi e larghi fossi fangosi dove le reflue acque dolci delle fiumane friulane incontravano le acque salse del golfo che chiudeva l’Adriatico, non era altro che una distesa di isole per lo più disabitate che finivano nei pressi dell’estuario del Lisonzo nel punto in cui questo si gettava nel mare.

Al centro di tali isole un ampio fosso canale che permetteva la navigazione anche di imbarcazioni di una certa consistenza consentendo di risalire poi le numerose vie d’acqua che immettevano nei retrostanti domini veneziani ed austriaci.

Queste terre salse, spesso barene, in altri casi isole sabbiose e brulle oppure isolotti invasi da arbusti, vedevano una scarsa attività umana, testimoniata in lontananza dai tetti di sparsi casoni di canne. In questa zona i gradesi si vedevano poco se non nelle zone prospicenti il mare aperto come sulla punta di Sdobba, dove il grande fiume lentamente incontrava il mare e dove le acque erano maggiormente pescose.

Erano zone dove trovava luogo l’attività di caccia attraverso pantiere o una rudimentale pesca con sistemi a bilancere. Per il resto rimaneva una zona selvaggia, nido di varie specie animali, gravata da spettanze comunitarie dove era possibile raccogliere i frutti dei numerosi arbusti che spontaneamente vi attecchivano. Nonostante tutto la zona era di vitale importanza per Venezia.

Rappresentava il punto di congiunzione tra il Dogado e l’area di pertinenza della città fortificata di Monte Falcone, che immetteva fino a Sagrado e alla nemica Gradisca, sentinella dei domini italici degli Asburgo, per la quale tanto si era combattuto negli anni precedenti.

Lo stesso Lisonzo costituiva, per ampi tratti più a monte, il confine tra il Friuli Veneziano e quello austriaco. Il controllo del Fossalon quindi era essenziale per i collegamenti tra l’Adriatico e i capisaldi veneziani in terra friulana. La barca risaliva volutamente in maniera lenta il canale per non attirare troppe attenzioni. Padre Marco seduto a centro barca guardava il panorama circostante ammantato tutto di una luce dorata tendente all’arancione di un sole che stava scomparendo dietro ad un folto canneto.

Alla sua destra, in lontananza poteva scorgere la rocca di Monte Falcone, sicuro caposaldo veneziano e girando il capo e torcendosi un po’ poteva perfino scorgere Trieste. Alle sue spalle l’Istria. A sinistra tra i bassi arbusti il campanile della basilica di Grado, quasi di fronte, discosto e in lontananza, la possente mole di quello della cattedrale di Aquileia.

Biografia di Cristiano Meneghel

Studioso e cultore della storia gradese e veneziana, ricerca e scopre documenti e avvenimenti realmente accaduti ponendo l’accento su storie nascoste e segrete, portate alla luce per una chiara propensione alla condivisione.

Autore di saggi e numerosi articoli storici su periodici e riviste culturali è richiesto in numerosi salotti culturali dove la ricerca dell’arte e della cultura sono pane quotidiano. Partecipa a varie trasmissioni televisive nazionali di cultura e arte.

Scrive il primo romanzo Una spia in laguna e il secondo La mano segreta di Zardo e ha già collaborato nella stesura di vari saggi che descrivono la storia di Grado e di Venezia.

Il saio e il pugnale ultimo romanzo di Cristiano Meneghel.

Redazione

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